“In God we trust; all others must bring data.” … ma non basta. La storia di un bruto che non era tale. O del principio di realtà
Joachim Neander è considerato uno dei maggiori produttori di inni sacri della Chiesa Riformata.La sua fama crebbe nel XIX secolo al punto che la valle da lui amata venne ribattezzata “Valle di Neander”.
Ma divenne noto universalmente, almeno il suo nome, a partire dal 1865, quando furono presentati i primi reperti di Homo neanderthalensis, trovati appunto nella valle che da lui prendeva il nome nel 1856.
Dal giorno della ritrovamento sino al giorno della scoperta del professor Svante Pääbo nel 2010, non furono sufficienti le sepolture, gli insediamenti, le forme d’arte e neppure dell’industria del Castelperroniano a dare all’uomo di Neanderthal la dignità di essere uamno come quella dell’homo sapiens.
Nel 1996 infatti, il paleoantropologo Jean-Jacques Hublin e altri scienziati hanno usato la tecnologia di scansione CT per riesaminare un frammento osseo trovato in una grotta francese decenni prima, insieme a una serie di strumenti e manufatti avanzati, associati alla cosiddetta industria del Castelperroniano, che gli archeologi hanno sempre presunto come il lavoro dei primi esseri umani moderni.
“Castelperroniano” indica una cultura preistorica, la prima industria del paleolitico superiore.
L’analisi di Hublin identificò l’osso come appartenente a un uomo di Neanderthal.
Ma piuttosto che riassegnare l’industria del Castelperroniano all’uomo di Neanderthal, Hublin attribuisce le sue scoperte a un effetto di “acculturazione”: Sicuramente l’uomo di Neanderthal ha imparato a fare questo guardando noi.
Sarà Svante Pääbo, che nel 2022 vince il premio nobel per la Medicina grazie ai suoi studi di paleogenetica e, in particolare per il sequnziamento del genoma dell’uomo dell’Homo neanderthalensis, ha ribaltare tutto.
Un gruppo dell’Istituto Max Planck per l’antropologia evolutiva di Lipsia, in Germania, da lui guidato, ha rivelato che prima che l’uomo di Neanderthal scomparisse, i due gruppi si sono accoppiati.
Ancora oggi, 40.000 anni dopo la fine dell’uomo di Neanderthal, la maggior parte degli esseri umani viventi porta con sé parti del DNA dell’uomo di Neanderthal, che costituisce circa il 1-2 per cento dei nostri genomi totali. I dati mostrano che il Sapiens si è incrociato con altri ominidi.
È stato sconcertante; anche Paabo non riusciva a crederci in un primo momento. Ma i risultati sono i risultati.